La principessa sposa di W. Goldman

La principessa sposa

William Goldman

Marcos y Marcos

Traduzione di Massimiliana Brioschi

Prefazione di Cristiano Cavina

€ 17,00

pp.329

Poi, improvvisamente, incontri un libro così. Tra altri seri, seriosi, pesantemente pesanti, dotti, dolenti, e dici che sì, tu sei più così, più leggero. Molto, molto più leggero e scherzoso e fantasioso, ma non per questo stupido, anzi, arguto. Tanto tanto arguto.  E allora ti riconcili con tutto. Con la lettura innanzitutto. Conosci William Goldman come soggettista e sceneggiatore di Butch Cassidy  (1969), Tutti gli uomini del presidente (1976), Il maratoneta (1976). Sai che è anche uno  scrittore ma non hai mai letto niente. Finché non vai a casa di tua cugina e non sei attratto da un suo libro, La principessa sposa, appunto, edito da Marcos y Marcos. Tra l’altro, curiosità, vai a casa di tua cugina e vedi questo libro lo stesso  giorno in cui lei –  tua cugina – ha un matrimonio. Non il suo, beninteso, ma un matrimonio. Che, per essere tale, presuppone l’incontro tra uno sposo e una sposa. Una principessa sposa anche lei?

Un celebre sceneggiatore, William Goldman, è alla ricerca di un libro, La principessa sposa, di S. Morgenstern, da regalare al figlio il giorno del suo decimo compleanno. Regalarglielo perché quello stesso libro gli era stato letto dal padre quando lui aveva dieci anni, “spalancandogli orizzonti impensati”.  Il libro però  è fuori catalogo e solo dopo molte difficoltà, William riesce a trovarne una copia. Che il figlio però legge fermandosi al primo capitolo e non riuscendo ad andare oltre. Come mai? Com’è possibile, si chiede William, che un libro che mescola alla perfezione commedia, avventura, fiaba, fantasy, possa annoiare? Sfogliandolo a distanza di anni – e anzi, William non lo ha mai sfogliato, perché il libro gli era sempre stato letto solo dal padre – capisce perché. Esso è infatti pieno di digressioni, parti boriose che evidentemente il padre aveva saltato. E allora William Goldman decide una cosa.  Decide di riscrivere La principessa sposa tagliando “lungaggini e divagazioni, per rendere scintillante la parte buona”.  Siamo a pagina 40. A pagina 41 inizia “La principessa sposa”. Il primo capitolo, “La sposa”.  Vi si narra di Buttercup, e del fatto che, prima di diventarlo lei, quando nacque: «la donna più bella del mondo era una sguattera francese di nome Annette… Quando invece Buttercup compì dieci anni, la donna più bella del mondo viveva in Bengala, figlia di un vecchio mercante di tè. Il nome della fanciulla era Aluthra, e la sua pelle era un’ambrata perfezione, come in India non ne apparivano da ottant’anni. (Ci sono state solo quindici carnagioni perfette in India da quando è stato iniziato un conteggio accurato). Aluthra aveva diciannove anni quando nel Bengala scoppiò un’epidemia di vaiolo. La ragazza sopravvisse, ma la sua pelle no. I quindici anni di Buttercup coincisero con il primato di…». E insomma, nel primo capitolo ci viene presentata Buttercup e si narra del suo folle amore per Westley, il garzone di stalla. Il ragazzo, di fronte agli ordini della sua padroncina, all’opposto di un Bartleby, ha sempre risposto “sì”. Dopo che Buttercup, afflitta da gelosia, si dichiara, il ragazzo, anche lui innamorato, decide di imbarcarsi per l’America dove ha intenzione di far fortuna per poi, una volta sistemato, sposarla . Ma la nave è assalita dal Terribile Pirata Roberts, colui che non lascia mai superstiti, e Westley è dato per morto…

Inutile dire che il libro di Mongerstern non esiste. Che l’espediente della riscrittura della  fiaba è… un espediente. Ma che non è un’invenzione la sua semplice scrittura. Il mescolare elementi provenienti da vari generi, contaminando classico e postmoderno, fiaba e farsa, ironia, strafottenza e romanticismo con un gusto irresistibile. Che ci tiene avvinti fino alla fine, stupefatti e divertiti da tanta brillante inventiva. Da tanta cristallina capacità di smontare e rimontare il genere fiaba riadattandolo in tutti gli aspetti, eppure rispettandoli tutti grazie a un’agilità di scrittura che pare proprio di veder la penna dello scrittore tratteggiare personaggi, luoghi, eventi, conflitti, come li stesse creando via via con l’obiettivo di allietarci. Con il nobile obiettivo di trasmetterci quell’entusiasmo per la lettura che lui stesso deve aver provato da ragazzo quando per la prima volta si avvicinava ai libri. Perché poi in fondo il vero intento  è questo: farci sposare la lettura, liberarci dalla nostra solitudine, aprirci all’altro e alla condivisione. Trasmetterci il piacere alla lettura, tramandarlo di padre in figlio; a costo anche di riscrivere storie – riadattarle – perché noi le ricordiamo così. Perché, appunto, la loro versione originale non è tanto quella oggettiva ma quella soggettiva. Ognuno di noi che è stato segnato da bambino da una particolare storia, ne ha una propria versione originale. Finché saremo in grado di raccontarla, magari anche alterandola, non la tradiremo mai. Né la storia né i nostri figli.

Gianluca Minotti

3 Risposte a “La principessa sposa di W. Goldman”

    1. Ci sono delle affinità, sì. Entrambi giocano con del materiale narrativo inesistente, ma mentre Calvino finisce con il raccontare un’altra storia – quella del lettore e della lettrice – Goldman racconta comunque la fiaba. “La principessa sposa” ha un suo inizio e una sua fine. Ed è essa stessa che diventa terreno per sperimentare, senza però mai eccedere. Senza mai forzare troppo la mano. Senza mai calcare troppo sul metaletterario. La fiaba è irresistibile. E’ zeppa di intuizioni, di avventure, di personaggi ritratti a tutto tondo che seppure assolvono a funzioni precise non sono mai schiacciati – ridotti – a mere funzioni. I capitoli della fiaba sono otto: La sposa, lo sposo, il corteggiamento, i preparativi, l’annuncio, i festeggiamenti, le nozze, la luna di miele. Titoli molto generici. Titoli che lascerebbero pensare a uno sviluppo dell’intreccio del tutto privo di conflitti. Ma non è così. O meglio: proprio a partire da quel titolo, ogni capitolo della fiaba mostra il rovescio. Il capitolo del corteggiamento, per esempio, non racconta di un corteggiamento classico, e non racconta neanche del corteggiamento tra i due innamorati, ma tra Buttercup e il Principe Humperdinck. Mentre il protagonista maschile, diciamo così, è Westley. E sempre in questo “corteggiamento”, Buttercup si dice disposta a sposare il Principe anche non amandolo. E il Principe: “Non saprei che farmene del tuo amore”. E Buttercup risponde: “Va bene, allora sposiamoci”.
      Un’ultima cosa. I dialoghi. Si sente che a scriverli è uno sceneggiatore perché sono incisivi, mai banali, sagaci. Niente è di troppo. Certo, neanche in Calvino c’è niente di troppo. Però, se mi è permesso dirlo: in Calvino – nel Calvino di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” – si respira una maggiore “artificiosità”. Accorgimenti, sottigliezze che in Goldman invece si mimetizzano perfettamente. E allora, l’inno alla lettura si realizza qui con la lettura stessa.
      Questa, sia chiaro, è soltanto la mia idea.
      Grazie, Mastrociliegia!

  1. Dal libro è stato tratto un film, diversi anni fa, di Rob Reiner (quello di Stand by me, di Harry ti presento Sally). Quando lo vidi provai lo stesso entusiasmo della tua lettura. Probabilmente lo conosci, ma nella tua recensione non ne parli… s’intitola “La storia fantastica”.

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