Il pallone di Donald Barthelme

Se un tizio prende un pallone aerostatico e lo fa dilatare fino a fargli coprire quarantacinque isolati di Manhattan, una ragione dovrà pure esserci. Tanto più che nella sua esposizione, il tizio appare da subito oltremodo razionale, rivelando tutti i dettagli tecnici. E dunque, ci sarà una ragione, così come una reazione dei cittadini e delle autorità. E infatti c’è stata: qualcuno, cioè, ha cercato di attribuirgli un significato, mentre altri sono stati costretti ad ammettere l’apparente mancanza di motivazione del pallone. Intanto, a parte le varie interpretazioni, passati i primi giorni, quegli stessi abitanti inizialmente attoniti, hanno iniziato a solidarizzare con il pallone. I bambini ci saltano su e i grandi lo prendono come riferimento per i loro appuntamenti: «Ti aspetto dove si abbassa sulla Quarantasettesima Strada, fin quasi a toccare il marciapiede, proprio vicino alla Alamo Chile House». Il pallone, insomma, non è un’entità che oscura la città, bensì ridefinisce gli spazi, le distanze. L’orizzonte, perfino, perché permette di fare a meno delle strade, ovvero de «la rete di sentieri precisi, squadrati, sotto nostri piedi».

Il pallone di Donald Barthelme è uno dei racconti più strabilianti che possa capitare di leggere. Pubblicato nel 1968, è tratto da Atti innaturali, pratiche innominabili (Minimum Fax, 2005), raccolta che ha consacrato Barthelme tra i maestri della scrittura postmoderna americana. Un esempio fra tutti: David Forster Wallace ricorderà come proprio Il pallone sia stato il primo racconto ad avergli fatto desiderare di diventare scrittore.

Il pallone aerostatico di Barthelme copre Manhattan e otto pagine. Sette e mezzo  caratterizzate da un registro vagamente distaccato e “freddo”. Ma Barthelme gioca. E qui sta la grandezza della sua scrittura, del suo raccontare storie. Nel giocare e nel saperlo fare divinamente. Perché poi quella mezza pagina che resta è come quando, una volta aver gonfiato un palloncino, lo liberi dall’aria. Lo liberi nell’aria. E allora eccola la ragione. Che è, sì, “un abisso di profondità”, ma anche ti proietta per aria. Più in alto del pallone. Per quello che è e per l’innocenza con cui è detta.

Gianluca Minotti

 

Donald Barthelme

Atti innaturali, pratiche innominabili

Minimum Fax

Collana: Minimum Classics

Traduzione di Ranieri Carano

pp. 158

€ 8,50