Perché in certi libri 2+2 fa 5

 

PERCHÉ IN CERTI LIBRI

2+2 FA 5

OVVERO: DI TRENI E AUTOMOBILI

 

 

 

 

Due più due fa quattro. Non ci piove né ci tira vento. E infatti se provi a buttare giù questa operazione aritmetica su un post-it, magari giallo, rosa o verde, sempre quattro fa. Ma se prendi un personaggio di una storia e metti lui seduto a un tavolo a scribacchiare due conti su un post-it, non è mica detto che due più due faccia quattro. Voglio dire che ci sono personaggi di storie bellissime per cui due più due non fa quattro e se lo facesse sempre, sai quanto ci annoieremmo. D’altronde, lo dicono anche i Radiohead che 2+2=5

Ora però non fraintendiamo. Non è che scrivere una storia giustifichi qualsiasi risultato sballato. Sempre restando sul due più due, per esempio, le cose funzionano quando appunto la somma fa cinque, perché se facesse settecentonovantaquattro, sarebbe troppo. Sarebbe ingiustificato. Come dire: è giusto che i conti non tornino: ma di poco, ché – si sa – il troppo stroppia. È una questione di misura, di equilibrio, giacché, può sembrare strano, ma: bisogna essere precisi almeno al secondo decimale quando non si fanno tornare i conti. A meno che non si voglia mandare in bancarotta il proprio personaggio già a pagina cinque. Pagina cinque che poi sarebbe pagina quattro, risultante dalla somma di due pagine più due pagine, che tu volti e – che è successo? – ti ritrovi a pagina cinque. Leggere e scrivere implica saper fare di conto. C’è un personaggio che deve prendere il treno delle 17 e 15 per Veroli, provincia di Frosinone. Ottimo: può funzionare. O meglio, potrebbe funzionare, perché sarebbe bene sapere, prima di mettere il proprio pupillo in fila al botteghino di Alessandria, che i treni – almeno fino a oggi – non passano per Veroli per il semplice fatto che a Veroli non c’è ferrovia. E voi osserverete: sarà il bigliettaio a dirglielo. A dirgli: «Caro Signore, Veroli non è contemplata. Posso farle un biglietto fino a Frosinone», rivelandogli una verità che potrebbe sorprendere non tanto lui quanto mettere in imbarazzo il suo inventore. Non so se questo esempio è davvero calzante. Mi è venuto, ho improvvisato. In realtà a me i personaggi che prendono treni mi son sempre piaciuti. Più di quelli che viaggiano in macchina, non fosse altro perché su un treno sai quante persone si possono incontrare e storie e possibilità narrative. Certo, forse anche in macchina. Un incidente, una ruota forata, un tamponamento, finisce la benzina, qualcuno che ti segue, abbassa il finestrino e ti spara con un fucile. Però è un fatto che, se ci fate caso, nei libri in cui i personaggi prendono treni, i conti non tornano mai esattamente – magari anche soltanto grazie ai ritardi ferroviari – mentre in quelli in cui i personaggi si spostano in macchina, i conti tornano di più, perché i protagonisti son più razionali. Per loro, due più due fa quattro. Per loro e per tutti quelli che gli ruotano intorno. E se magari vien fuori a un certo punto che due più due fa cinque, la storia è tutta nel tentativo estremo di far quadrare i conti, con un lieto fine in cui sì, il cerchio si chiude. Se ci sono treni di mezzo, invece, due più due fa cinque fino all’ultima pagina. Non c’è niente da fare.

Gianluca Minotti