I Malcontenti di Paolo Nori

Paolo Nori

I malcontenti

Einaudi

I Coralli

pp. 166

€ 16,00

2010

 

 

 

 

 

«Noi, quelli che avevano la nostra età, la mia età, quarantacinque, ma anche l’età di Giovanni, ventinove, noi, il nostro strumento la nostra leva per farci spazio, nel mondo, per noi non era più, com’era stato per le generazioni precedenti l’entusiasmo, o il dovere, o il senso di sacrificio, o la speranza di un mondo migliore o non so cosa. No. Noi, la nostra leva, quello che ci costringeva a entrare nel mondo, per noi, era la disperazione».

Incide nella carne l’ultimo libro di Paolo Nori, I malcontenti: una sperimentazione sull’uomo in 273 dissezioni. Frammenti di un discorso che per poter significare necessita di sottrarre. Eppure, allo sguardo cinico, disincantato, straniato e a volte dolcissimo di Bernardo, l’io narrante, non sfugge niente delle contraddizioni e disillusioni della società odierna. C’è una riflessione sul senso del raccontare, essendo Bernardo uno scrittore, impegnato a portare avanti la traduzione de Le anime morte di Gogol e un saggio sul padre. Uno scrittore che non si prende sul serio, ma si interroga anche sulle ragioni per cui è uno scrittore: «Io come studi ero laureato in letteratura russa, e diplomato in ragioneria. E delle volte avevo pensato, quei pensieri che ti vengon così d’improvviso, che non sapresti neanche dire se li condividi o non li condividi, che il fatto che mi ero laureato in letteratura russa, era per cancellare il fatto che mi ero diplomato in ragioneria. E che il fatto che mi ero messo a scrivere libri, era per cancellare il fatto che mi ero laureato in letteratura». C’è la storia d’amore tra Nina e Giovanni, il loro ostinato e candido tentativo di darsi un senso e una direzione per entrare nel mondo “adulto”. E c’è la purezza, incarnata da una “bambina di quattro anni”, che lo chiama papà e che riempie noi lettori di stupore. Perché di bellezza in questo piccolo libro ce n’è molta. Incide nella carne, sì, ma per aprirci gli occhi, per farci vedere fuori e dentro di noi. Perché poi c’è il passato – quando si sapevano fare le cose e quelle cose avevano parole precise per indicarle – ci sono i ricordi, c’è qualcosa che non c’è più e che è al contempo la nostra salvezza e la nostra condanna. E c’è chi si occupa di teletrasporto, chi è chiamato a organizzare un festival sui Malcontenti, che non si sa bene in cosa consista, ma non importa. C’è la consapevolezza che «i momenti in cui il nostro andare aveva avuto un senso erano probabilmente una frazione minuscola dei momenti complessivi della nostra vita». Ci sono presentazioni di libri, traslochi, c’è un uomo, Francesco, che non esce di casa perché, nonostante non sia un immigrato, ha paura che coloro i quali se la prendono con gli immigrati, possano prendersela con lui. Insomma, c’è davvero tanto per un romanzo di appena 162 pagine, scritto con lo stile accattivante di Nori: un gioco di frasi a incastro che un po’ discende da Celati e Cavazzoni, e che fa coesistere narrazione e documento, divertissement e atto di denuncia. Giacché, come dice Bernardo: «Era un periodo, stranissimo, che la gente era contenta per dei motivi stranissimi. Un correttore di bozze, per esempio. Un correttore di bozze era contento quando incontrava un refuso. E un poliziotto. Per esempio. Un poliziotto era contento quando incontrava un reato. E un meccanico. Un meccanico era contento quando incontrava un guasto. E un medico. Un medico era contento quando incontrava un malato».

Gianluca Minotti

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