Fine di una storia di Graham Greene

Fine di una storia

Graham Greene

Mondadori

Oscar scrittori moderni

pp. 256

€ 9,00

1953 (prima edizione Mondadori nel 1970)

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«Un racconto non ha né principio né fine: si sceglie arbitrariamente un certo momento dell’esperienza dal quale guardare indietro, o dal quale guardare in avanti. Dico “si sceglie”, con l’orgoglio generico di uno scrittore professionista il quale – se e in quanto è stato seriamente notato – è stato lodato per la sua abilità tecnica; ma sono poi veramente io che di mia volontà propria ho scelto quella nera e umida sera di gennaio sul Common del 1946, e lo spettacolo di quell’Henry Miles curvo a schermirsi contro i vasti rovesci della pioggia ; o sono state queste immagini a scegliere me? È opportuno, è corretto, stando alle regole della mia professione, cominciare proprio da lì; ma se avessi allora creduto in un Dio, avrei anche potuto credere in una mano che mi tirasse per il gomito, suggerendomi: “Digli una parola, non ti ha ancora veduto”».

È così che Maurice Bendrix, dopo un anno, incontra Henry Miles, il marito di Sara, con cui ha avuto in passato un’intensa storia d’amore. Una storia travolgente, interrotta bruscamente per volontà di Sara. Ora, “in questa nera e umida sera di gennaio sul Common del 1946”, in una Londra che si va ricostruendo dopo i bombardamenti di Hitler, Bendrix e Miles finiscono prima in un bar e poi a casa di Miles. E Miles, che non ha mai saputo del loro rapporto, facendogli leggere una lettera, confessa a Bendrix di temere che Sara possa avere un amante. Vorrebbe rivolgersi a un’agenzia investigativa, ma è titubante. Si vergogna. E allora Bendrix si offre al posto suo. Come fosse l’amante tradito. Gli amanti traditi, cerca di convincerlo, a differenza degli adulteri, sono tragici, non comici. Miles ci pensa un po’, ringrazia l’amico, poi prende la lettera e la brucia alla fiamma del gas. Niente investigatore privato, non ce n’è bisogno Poi, mentre i due parlano, si sente il rumore del portone: i passi di Sara. E Miles e Bendrix le vanno incontro: «Come potrei dipingerla a un estraneo, in modo che la vedesse, quando si arrestò nell’atrio in fondo alle scale e si volse verso di noi? Non sono mai riuscito a descrivere neanche i miei personaggi finti se non per mezzo delle loro azioni. Ora sono tradito dalla mia propria tecnica, perché non voglio sostituire nessun’altra donna a Sara; voglio che il lettore veda quella vasta fronte, quella fiera bocca, la conformazione del cranio, ma tutto ciò che riesco a dipingere è una figura indeterminata che si volta nel suo impermeabile ammollato per dire: “Sì Henry”, e poi: “Tu?”. Mi aveva sempre dato del tu. “Sei tu?” al telefono. “Puoi? Vuoi? Farai tu?”, cosicché mi ero immaginato da scemo per qualche minuto di volta in volta, che ci fosse un solo “tu” nel mondo, e che quello fossi io».

Bendrix non ha dimenticato Sara, come avrebbe potuto? Rivederla, insieme al pensiero ossessivo che possa averlo tradito, lo inducono a rivolgersi allo stesso investigatore privato…

Mi andrebbe di raccontarvela tutta questa storia, tutta, dall’inizio alla fine – Fine di una storia – se non fosse che Graham Greene è di molto superiore a me. Ma il fatto è che raccontandovene anche soltanto l’inizio, tanto mi ha preso, che mi sono infradiciato di pioggia. Ma non della pioggia che sta piovendo adesso qui a Frosinone, o comunque non solo, ma anche di quella di Londra, della pioggia che si rovescia su Henry Miles, su Bendrix. Della pioggia che ha ammollato l’impermeabile di Sara, bagnandole la vasta fronte e la fiera bocca. Perché questa è una storia di amore ed è al contempo una storia di odio. Di amore e di odio furente come rovesci di pioggia. O forse no, è una storia di amore e di odio manchevoli. È la storia di un uomo, Bendrix, amareggiato perché non sa scegliere tra l’amare e l’odiare. Perché la donna che ha amato e ama, sa amare e lo ha amato come nessuno mai saprà. Eppure, nonostante ciò, ha deciso di rinunciare a lui. Una storia di pioggia, dunque, una storia di amore e, soprattutto, una storia di fede. Perché si può contrarre la fede come si contrae una malattia. Si può cadere nella fede come si cade nell’amore. E si può lottare, in maniera estenuante lottare, affinché quel Dio non ci contagi: «Io Ti odio Dio, Ti odio come se tu esistessi».

Gianluca Minotti