Chi scrive non è sempre uno scrittore…

Negli ultimi mesi si sono intensificate le pubblicità di “editori” a pagamento in tv, giornali, siti e altri mezzi di comunicazione.

Assioma comune di questi “signori” è che se hai scritto qualcosa è un tuo diritto pubblicarlo.

L’esperienza della scrittura, dai primi anni di vita in poi, non ci autorizza a definirci “scrittori”, così come chi cucina ogni giorno per la propria famiglia non si arroga certo il titolo di chef.

In rete abbiamo trovato una interessante e acuta riflessione sull’argomento e vogliamo riportarne qui alcuni brani.

L’autore è Giampaolo Simi.

<<Io amo giocare al calcio. Ho tutto il diritto di farlo e infatti una o due volte alla settimana lo faccio. Per fare questo, talvolta, sostengo volentieri qualche spesa. Nessuno però paga per venirmi a veder giocare a calcio e di conseguenza nessuno mi paga per farlo. Perché? Perché sono oggettivamente una pippa. Lo ero a vent’anni e lo sono, a maggior ragione, adesso. Ma non mi importa: mi piace e nessuno deve impedirmi di farlo. Sarei però semplicemente patetico se nel mezzo di una cena mi definissi, magari con un pizzico di nonchalance, “un calciatore”. Sappiamo tutti chi è un calciatore: uno che viene pagato da una società sportiva per giocare al calcio. Che sia il San Bortolino o l’Inter fa un po’ di differenza nell’ingaggio e nel livello, certo, ma il discrimine è chiaro.
Io sono uno dei milioni di italiani che semplicemente “giocano al calcio”. Neppure il San Bortolino ha mai pensato che i miei piedoni a randello meritassero un rimborso spese di cinquanta euro al mese (lordi).

Oggi mi imbatto in una manchette sul sito de La Repubblica. Lo slogan inizia con una protasi castrante e angosciosa: “Se qualcuno ti dice che non sei un vero scrittore…” (“vero” è anche scritto in corpo maggiore, ad aumentare la frustrazione). Nell’apodosi però arriva il raggio di speranza, il grido di riscatto: “Mandalo in una libreria la Feltrinelli.” Per terminare con un ammiccante: “scopri com’è facile”.
E facile lo è. A patto di averci i soldi, ovvio. Mandi il file al server de Il mio libro (collegato a kataweb e al gruppo La Repubblica-Espresso), scegli il formato e la copertina, paghi e rievi le copie a casa. 50, 100, 500. Alcune di queste saranno disponibili nelle librerie Feltrinelli dove lo scettico e malevolo “qualcuno” potrà trovarlo e ordinarlo, per poi presentarsi alla prossima pizzata con la copia da farti autografare e mostrare ai commensali, ammettendo contrito: “Non credevo che il mio amico fosse un vero scrittore e, invece, guardate qua.”
A promuovere questo bieco malinteso non è qualche scaltro tipografo di provincia, ma sono due grandi gruppi editoriali italiani, per giunta situati in area progressista. Peccato che, alla fine della fiera, il concetto non proprio progressista è chiarissimo: per essere un “vero scrittore” basta che paghi. Non dico questo perché penso che sia volgare mischiare i soldi con la letteratura. Sono anzi convinto che ti puoi definire scrittore quando qualcuno ti paga e investe per pubblicare quello che hai scritto. Tanto o poco, fa la differenza, come nel calcio, ma il discrimine rimane chiaro.
Non è una difesa di una corporazione, perché questa corporazione non esiste e non esisterà mai: non esiste e non esisterà mai un albo o un’abilitazione professionale che consenta di esporre targhe di ottone con inciso “scrittore”. Ma proprio questa ragione funziona anche all’inverso: non è titolo che qualcuno ti possa vendere a qualche migliaia di euro, come una laurea o un diploma fasullo.

Spacciare un librificio per corrispondenza come una rivoluzione dal basso significa anche negare che esistano una competenza, un talento e un ruolo propri del narratore. Tutte cose che, invece, riconosciamo naturalmente a chi sa far crescere una vigna o delineare un piano di ammortamento, centrare l’angolino da trenta metri o far cantare quattro pistoni come se fossero nuovi.>>

3 Risposte a “Chi scrive non è sempre uno scrittore…”

  1. Ovvio che pubblicare a pagamento è una sconfitta per chi vuol dedicarsi alla scrittura; d’altra parte non me la sento di condannare chi fa questa scelta, primo perché anzitutto va rispettato chi ha avuto il coraggio di completare una storia, inoltre di solito prima di arrivare a tanto probabilmente l’autore ha già fatto il giro degli editori, si è visto sbattere in faccia la porta cento volte, è giunto a un livello di depre-frustrazione tale da spingerlo verso questa forma di liberazione che è la pubblicazione a pagamento. Insomma a mio avviso si può anche arrivare a farlo non con il fine di essere riconosciuti per forza “scrittori” ma semplicemente perché avere una copia stampata e rilegata del proprio manoscritto in casa può essere in un certo senso anche solo confortante, dopo i traumi della ricerca di una casa editrice ordinaria. Inoltre penso che il termine scrittore oggi sia stra-abusato, esistono tanti autori e di scrittori questo piccolo mondo ha ancora un grande bisogno.

    1. Grazie, Paolo, per il tuo commento. Purtroppo alcuni editori a pagamento speculano molto sul desiderio di cui parli, e spillano migliaia di euro agli sprovveduti! Meglio recarsi presso una tipografia… Ciao!

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